La partenza, i viaggi, il ritorno, i
successi, la nostalgia, l'amore, il lavoro, le guerre...
nelle storie
di centinaia di italiani che hanno lasciato il nostro Paese e attraversato il
mondo, dall’Ottocento a oggi. Tratte dall’Archivio diaristico nazionale di
Pieve Santo Stefano.
Mascali
(Messina), Italia, 1911
Aveva partuto per fare due anni, ma una nuova legge redusse
il tempo militare, e così primo di compire l’hanno mi concedai. Giunto al
paese, incontrai all’amico Romeo, che anche lui si aveva concedato, e dopo
poche giorni partì per l’America a trovare alla sua famiglia. lo avendomi già
abituato alla vita della città, ho risolto di andarmene nelle Guardie di
Publica Sicurezza, ma mi fu respinta la domanda […].
Mentretanto il mio amico Romeo mi consigliava di andarmine
in’America; mentre che io mai aveva pensato nell’America, per non allontanarme
definetivamente del mio paese; Ma infini mi decisi a partire per Buenos Aires.
La partenza fu impressionante; Comprendeva esattamente che mi esponeva a una
nuova vita, e chi sà per quante anni doveva abbandonare la mia famiglia, e il
mio amato paesello ?… Il giorno 17 di Marzo dell’hanno 1911- di buon mattino ho
abbandonata la mia casa paterna, forse per non rivederla mai più. Tutti della
mia famiglia piangevano, specialmente quella poveretta di mia zia Luicia, che
tanto mi amava, e forse il suo presentimento gli annunziava, che sarebbe
l’ultima spartenza. Di lontano gli infici l’ultimo Addio, e mi diressi verso la
Stazione accompagnato dei miei parenti, e di varie amici. Insieme a me,
venivano pure a Buenos Aires il seg. Carmelo Marano, e sua sposa, la segnora
Concetta Arena, con i loro figli, che andava a incontrare a suo sposo Santo
Cari, e gli amici Andrea Livieri, e Leonardo Golisano. Giunti a Catania, ci
siamo imbarcati sul vapore postale «Città di Palermo». Abbiamo abbandonato il
porto di Catania, ammirandi il bel panorama della città, e della nostra
montagna seminata di paese, e città. Di nuovo apparve alla mia vista il
panorama del mio paese di Mascali, che visto del mare mi sembrò una grande
città. Il vapore fermò circa due hore a Riposto, e dopo riprese la marcia
allontanandome definetivamente del mio suolo nativo. Ancora in lontananza si
osservava la superba cubola della madre chiesa con la bella facciata di pietra
bianca, e l’antica Torre. Ma passato il capo di S. Alessio, sparì per completo,
presendandosi alla vista nuove panorama della bella spiaggia di Messina, e
delle grande montagne della catena delle Madonie. A Messina, abbiamo fatto
scala, e si sono imbarcati altri emigrande per New lorchi, fra i quali l’amico
mio Leonardo Macheraci. Ripreso il viaggio verso Napoli, abbiamo atraversato il
stretto, tralasciando le Isole di Pantelleria l’una dopo l’altra, osservandose
ancora in lontananza la Sicilia, e la cima del Vulcano Etna, che col suo enorme
pennacchio di fumo bianco che si eleva al cielo sempra di dare l’ultimo addio a
coloro che si allontanano della bella Sicilia.
Buenos Aires, Argentina, 1911
Salvatore lascia l’Italia nel 1911, dopo un commovente
commiato con il fratello. Attraversato l’oceano, giunge al cospetto della baia
di Buenos Aires nel giorno del Sabato Santo, il 15 aprile di quell’anno.
A Napoli, ci aspettava mio fratello Angelo, che aveva venuto
apposta da Viterbo per salutarmi. Abbiamo passato insiemi l’indimenticabile
giorno del Patriarca S. Giuseppe; mi comprò un soprabito, una bella chitarra, e
tutto ciò che mi occorreva per il viaggio; oltre di avermi anticipato il denaro
per il passaggio. La spartenza fu commovente, mi accompagnò abordo, e abbandonò
il Piroscafo all’ultimo momento; quando il vapore lasciava il porto ci siamo
dato l’ultimo addio sventolando i fazzoletti, e quando lo perdi di vista
un’orribile abbattimento si appoderò di me, rifressionando sull’affetto di mio
fratello, che nella nostra vita ci siamo viste poche volte sempre di occasione.
Il viaggio di Napoli a Genova, l’abbiamo fatto in pessima condizione sul
piroscafo «Stella Polare». Giunto a Genova, sono andato a trovare al mio caro
amico Alessandro Raffin, Sergente del 92° Reggimento di Fanteria, passando il
pomeriggio insiemi ricordandoci della nostra vendura a Genova da tre anni
prima, e tanti bei ricordi della nostra vita passata nel nostro paesello. Verso
sera abbiamo abbandonato il porto di Genova, imbarcati sul vecchio vapore
«Minos» dell’antica Compagnia Ligure Brasiliana.
Era l’ultimo viaggio che il Minos faceva a Sud America; vi
era molta comodità per la 3° classe, e si mangiava discretamente. Il viaggio
fino a Gilbiterra fu splendido, ma passato il stretto abbiamo incontrato il
mare aggitato per due giorni consecutive. Per molte giorni non abbiamo visto
più terra fino alla costa Brasilegna. Abbiamo toccato il porto di Santos,
entrando per un pittoresco canale. Dopo ventequattro giorni di viaggio apparve
alla nostra vista la grande città di Buenos Aires. Ma siamo rimasti due giorni
alla rada, sbarcando il Sabato Santo, il giorno 15 di Aprile del 1911.
Al porto doveva incontrare ai miei amici Romeo, Marino, e
Antonio Cappa; ma per la confusione di avere rimasto i due giorni a bordo si
sono desorientate. Allora una famiglia di Siciliani della Provincia di
Siracusa, che abbiamo presa relazione abordo; mi condussero con loro; ma io
stava preoccopato per incontrare all’amico Romeo, e siccome teneva la sua
direzione sono andato a trovarlo, mentre con l’amico Isidoro Marino, si
preparavano per andare al porto in cerca di me. Quella sera abbiamo trovati a
tutti gli amici, e paesani di costì, tanto che mi semprò di trovarme di nuovo
al mio paese._
Dopo due giorni per mezzo dell’amico Domenico Nicolosi, di
Carrabba, ho incontrato lavoro in una fabrica di calzolaria, dove lavorai per
circa sei mesi; Ma siccome l’amico mio Antonino Foresta, lavorava nei Tramvai,
mi consigliò di lavorare anche io di Tramvieri, e sono andato da Fattorino.
Lavorava sempre con l’intusiasmo di ritornare presto all’italia. Per un giovane
scapolo la lontananza della sua famiglia, e un grande sagrifizio. Occupammo una
stanzetta di legname molto cara, e mala costruita , insieme all’amico Isidoro
Marino, e Nicolosi. Dovevamo farne da mangiare noi, e tutta la polizia
personale.
Buenos Aires, Argentina, 1916
Nel 1914 scoppia la Prima guerra mondiale, l’Europa viene
travolta e Salvatore prende la decisione di non rispondere alla chiamata del
Regio esercito italiano. A rafforzare la sua scelta di rimanere in Sud America
giunge la decisione di sposarsi con una ragazza di origine siciliana, Concetta,
con la quale Salvatore concepirà cinque bambini.
Dopo qualche hanno ho abitato da solo, e mangiavo da una casa
particolare, così la vita era più comoda, ma con tutto ciò desiderava
ardentamente di ritornare presto al mio paese, onde sposarne, e poi se fosse
possibole anche di ritornare. In Agosto dell’hanno 1914 penzava di fare
un’improvisata alla mia famiglia; Ma mentre faceva il tramite dell’imbarco
scoppiò la tremente guerra Europea. Dopo pochi mesi che stava in America,
l’Italia dichiarò la guerra alla Turchia, che fenè con l’occopazione della
Tripolitania, e della Cirinaica, per parte D’Italia. Finita la guerra di
Tripoli, il mondo passò un periodo di tranquillità; da per tutto vi era
sufficiente lavoro, e regnava una allegria uneversale. Credo che l’hanno
1912-1913 e parte del 1914 fu la epoca più armoniosa e pacifica del secolo XX.
Ma alla fine del mese di Giugno 1914 un crimen politico ha messo il mondo in
scompiglio. Nella città di Serajeo in Serbia, fu assassinato il Principe
Francesco Ferdinando eredi dell’Impero Austriaco, e sua sposa Sofia. Austria
impuso a Servia di dargli sodispazione fra ventequattro hore; Ma siccome a
Serbia gli fu impossibole scoprire il complotto, Austria pretenziosamente le
dichiarò la guerra a Serbia. Russia che stava allegata con Serbia prese le armi
contra Austria, e Alemania che era allegata con l’Austria, si ha messo in sua
difesa. Francia, e Inquilterra, difesero a Russia e Serbia; Cosi’ che si formò
rapidamente una orribile confregazione Europea. Italia con tutto che era
allegata con Austria e Alemania, rimase neutrale; Ma poi il popolo Italiano
proclamò la guerra contra gl’Imperi Centrali, per liberare le due Provincie,
Trento e Trieste. Cosichè il giorno 24 di Maggio del 1915-anche l’Italia
entrava in guerra. Dopo pochi mesi furono chiamati sotto le armi mio fratello
Giuseppe, e mio cognato Michele, rimanendo nella mia famiglia solamente le
donne. Io risolvetti di rimanere qui, e siccome la guerra continovava, ho
deciso si sposarmi; Però era desideroso di incontrare qualche ragazza
Siciliana, onde comprenderci in tutto, e conservare il mio desiderio di
ritornare in Sicilia. Dopo di aver fatte varie indagini, conobbe casualmente
alla famiglia di don Pasquale Parisi, da poco tempo venute del paese di
Macchia, che dista a circa tre chilometri del mio paese. Oh chieste
informazione alla mia Famiglia, specialmente a mia cognata Aghita, che era di
Macchia, e conosceva personalmente a questa famiglia. Avendone avute buone
informazioni, ho chiesta la mano di sua figlia maggiore di nome Concetta
Parisi, e dopo un’anno il giorno 4 di Novembre del 1916 ci siamo sposati. Nel
mio sponzalizio parteciparono varii paesani; Ma mi rincrebbe che non vi era
nessuno della mia famiglia; Però ebbe la conzolazione che mentre estavamo tutti
attorno alla menza, si presentò un fattorino postale con le felicitazioni della
mia famiglia. Dopo circa i 9 mesi naque un bel bambino, che gli ho posto nome
Carmelo come mio padre; Dopo un altro che si chiama Sebastiano come mio zio; E
poi tre bambine; Leonarda come mia madre, Sara il nome di mia suocera, e
Angelina, come mio fratello Angelo.
Buenos Aires, Argentina, 1928
Dopo più di quindici anni trascorsi in Argentina, Salvatore
Coco inizia a progettare un viaggio di ritorno, in compagnia del suo
primogenito, per rivedere i luoghi in cui è cresciuto e fare una sorpresa alla
sua famiglia d’origine.
A forza di sagrifizio ho potuto farmi la mia casa propria,
nel paesello di Berna Leste, a pochi passi di Buenos Aires in una bella strada
(Avenida Dardo Rocha) che traversa il centro della città di Avellaneda, e
conduce alla Capitale. I miei figli, Carmelo e Sebastiano, si educano in un
Seminario di Don Bosco; E non tralascerò d’insegnarle l’Italiano, e in famiglia
si parla in dialetto Siciliano. L’unico mio desiderio è stato sempre quello di
fare una passeggiata all’Italia; Rivedere l’incantevole Sicilia, giardino
d’Italia, e visitare il mio bel paesello, per abbracciare alla vecchiarella di
mia madre, e tutti della mia cara famiglia, che ho sognato continuvamente di
incontrarmi fra loro. Ultimamente i miei fratelli mi scrivono che il nostro
piccolo paese si ha trasformato in’una moderna cittadina. Vi sono delle belle
palazzini moderni, si reformò la piazza del D’uomo, e si eregio un monumento
in’omaggio ai caduti in guerra nella piazzetta degl’Angeli. Tutto ciò aumentato
sempre il mio entusiasmo di rivederlo. L’hanno 1928- mi aveva proposto di fare
un’improvisata alla mia famiglia; Voleva domandare sei mesi di licenza alla
compagnia dove lavoro, e andare in’Italia con mio figlio Carmelo. Pensava
partire di qui, verso il mese di Luglio, per passare lì il mese di Agosto,
Settembre, Ottobre, e parte di Novembre, fino alla bella festa di S. Leonardo.
Però per temore di incontrare qualche ostacolo per il mio ritorno in’ America,
per certe leggi esistenti in’Italia per gli emigranti, ho desestito del mio
proposito, con la speranza di megliore occasione. Mi passano delle hore interi
fantasticando su di un mio prossimo viaggio in’Italia, l’improvisata che dovrei
fare alla mia famiglia, e l’incontro dei vecchi amici… Vorrei rivedere tutti
quei paesi che conosco, e fare delle lunghe passeggiate con mio fratello
Angelo, in quei luochi che ho passata la mia dolce infanzia, e la sorridente
gioventù.
Buenos Aires, Argentina, 1928
Nell’autunno del 1928, Salvatore Coco dall’Argentina apprende
attraverso i giornali e il passaparola degli emigrati siciliani, che il suo
paese d’origine, Mascali, è stato cancellato da un’eruzione vulcanica
dell’Etna. La lava fuoriuscita dai crateri del vulcano ha raso al suolo e
inglobato il centro abitato.
Ma il giorno 3 di Novembre dell’hanno 1928 mi sono alzato di
buon mattino per concorrere al mio lavoro cotidiano._Era una bella giornata di
Primavera, e stavo di buon umore; Nel trascorso del viaggio della mia casa alla
stazione dei Tramvai, ho riletta una lettera di mio fratello Angelo, in cui mi
dava tanti belle notizie. Ripreso il lavoro con l’animo tranquillo, e
ricordandomi che in quei giorni al mio paese si svolgeva la bella festa del
Patrono S. Leonardo; cantava soldamente dei canzonettini che si cantano nei
giorni delle novene, che ancora ricordo qualche frase «Evviva Leonardo
Infiammato d’amore, L’ardente suo cuore Di fuoco avvampò». All’improviso monta
sul Tramvai, un ragazzo venditore di giornali, e osservai scritto a lettere
grande; L’Etna in eruzione! Gli strappai
un giornale delle mani, e ho letto che si aveva aperto un gran cratere presso i
Fornazzi, e la lava avanzava rapitamente verso S. Alfio. Tale notizia mi
impressionò, considerando che era un gran pericolo, per il paese di S. Alfio,
S. Giovanni, Macchia, e la città di Giarre, e Riposto. I Giornali vespertini
annunziavano che la corrente lavica aveva già distrutto il famoso castagno dei
cento cavalli, e raggiunto i primi case di S. Alfio. Ma fortunatamente il
giorno dopo ebbi la conzolante notizia, che miracolosamente la lava si aveva
fermata, e tutto il pericolo era scomparso; Di nuovo mi tranquillezai, e ho
creduto a un miracolo di S. Alfio, Patrono del stesso paese. Però all’indomane
una nuova notizia mi fece aghiacciare il sangue nelle vene: Nuove cretari si
avevano aperte sulle Ripe, e la lava avanzava rapitamente a una velocità di 500
metri per hora; Invase la località di Pietrafucile, e avanzava in direzione di
Mascali, il mio amato paese…. La mia sorpresa fu enorme; Comprese l’imminente
pericolo che minacciava al paese, e immagginava il panico che doveva provocare
fra gli abitanti. I giornale della sera davano notizie più allarmanti, la lava
aveva preso il corso del vallone Pietrafucile, e stava per raggiungere il ponte
di ferro sulla ferrovia della Circum Etnea, e un altro braccio avanzava verso
Nunziata. Gli abitanti atterriti scappavano in tutti direzioni elevando
preghiere a Iddio , e ai Santi. In Mascali si svolgeva la tradizionale fiera
della festa di S. Leonardo, e vi si trovavano molti forestieri, che dovettero
retirarse precipitosamente. Le notizie che si succedevano erano
all’armatissimi, annunziando che era necessario di evacuvare anche le città di
Giarre, Riposto, e Fiume freddo. Temevo per la sorte della mia famiglia,
specialmente per quella poveretta di mia madre che all’età di circa 90 anni
doveva presenziare tale sciagura, e abbandonare la casa paterna, che gli aveva
costato tanto sagrifizio. Intanto la corrente lavica, avanzava spietatamente
distruggendo grande castagneti, vigneti, e giardini di limoni. Nel pomeriggio
del giorno 6 un’apparato radiotelefonico annunziava al pubblico che la lava
aveva distrutto il ponte della Circum-Etnea, e aveva invaso il Vallonazzo. La
morte di Mascali, era già inevitabile, e solamente un miracolo del Patrono S.
Leonardo poteva salvare il paese, il giorno della sua festa. Tutta la notte non
ho dormito, ci intervistevamo fra i paesani, tutti afflitti, ma con la speranza
che la lava si avrebbe fermata nel vallonazzo, dove il vallone formava una
grande spianata. Ma all’indomane un’orribile notizia annunziava che la notte
del giorno 6 di Novembre, il proprio giorno della festa del Patrono S.
Leonardo, la lava aveva investito il paese, e in poche hore rimase sepolto.
Non’ebbe l’animo di leggere la notizia… e piansi come mai avevo pianto!