mercoledì 15 dicembre 2021

Presentazione del volume "Il rovescio della medaglia" di Francesca Failla.

 


Tutto avviene per caso: una donna visita una mostra di M.C. Escher e, ammirando le sue numerose opere, viene attratta in particolare da una, La casa nella lava, litografia in cui riconosce l’antica dimora dei nonni materni. Da quell’inaspettata coincidenza nasce la produzione di un cortometraggio che, successivamente, si concretizza in un libro la cui narrazione fa affiorare un passato doloroso che l’autrice protagonista decide di attraversare: Il rovescio della medaglia, romanzo autobiografico e di costume. Il racconto, arricchito da foto storiche e dalle poesie in dialetto siciliano scritte dall’autrice in alcuni momenti particolari della sua vita, si conclude con le riflessioni e i bilanci affettivi della protagonista. L’alternanza dell’uso della prima e della terza persona per riferirsi a se stessa risponde a una scelta ben precisa dell’autrice che asseconda le proprie sensazioni in base al personale coinvolgimento o distacco in alcuni episodi del suo racconto.











giovedì 2 dicembre 2021

Salvatore Coco, emigrato mascalese in Argentina sul sito "I diari raccontano".

 

    

La partenza, i viaggi, il ritorno, i successi, la nostalgia, l'amore, il lavoro, le guerre...

nelle storie di centinaia di italiani che hanno lasciato il nostro Paese e attraversato il mondo, dall’Ottocento a oggi. Tratte dall’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano.







Mascali (Messina), Italia, 1911

Aveva partuto per fare due anni, ma una nuova legge redusse il tempo militare, e così primo di compire l’hanno mi concedai. Giunto al paese, incontrai all’amico Romeo, che anche lui si aveva concedato, e dopo poche giorni partì per l’America a trovare alla sua famiglia. lo avendomi già abituato alla vita della città, ho risolto di andarmene nelle Guardie di Publica Sicurezza, ma mi fu respinta la domanda […].

Mentretanto il mio amico Romeo mi consigliava di andarmine in’America; mentre che io mai aveva pensato nell’America, per non allontanarme definetivamente del mio paese; Ma infini mi decisi a partire per Buenos Aires. La partenza fu impressionante; Comprendeva esattamente che mi esponeva a una nuova vita, e chi sà per quante anni doveva abbandonare la mia famiglia, e il mio amato paesello ?… Il giorno 17 di Marzo dell’hanno 1911- di buon mattino ho abbandonata la mia casa paterna, forse per non rivederla mai più. Tutti della mia famiglia piangevano, specialmente quella poveretta di mia zia Luicia, che tanto mi amava, e forse il suo presentimento gli annunziava, che sarebbe l’ultima spartenza. Di lontano gli infici l’ultimo Addio, e mi diressi verso la Stazione accompagnato dei miei parenti, e di varie amici. Insieme a me, venivano pure a Buenos Aires il seg. Carmelo Marano, e sua sposa, la segnora Concetta Arena, con i loro figli, che andava a incontrare a suo sposo Santo Cari, e gli amici Andrea Livieri, e Leonardo Golisano. Giunti a Catania, ci siamo imbarcati sul vapore postale «Città di Palermo». Abbiamo abbandonato il porto di Catania, ammirandi il bel panorama della città, e della nostra montagna seminata di paese, e città. Di nuovo apparve alla mia vista il panorama del mio paese di Mascali, che visto del mare mi sembrò una grande città. Il vapore fermò circa due hore a Riposto, e dopo riprese la marcia allontanandome definetivamente del mio suolo nativo. Ancora in lontananza si osservava la superba cubola della madre chiesa con la bella facciata di pietra bianca, e l’antica Torre. Ma passato il capo di S. Alessio, sparì per completo, presendandosi alla vista nuove panorama della bella spiaggia di Messina, e delle grande montagne della catena delle Madonie. A Messina, abbiamo fatto scala, e si sono imbarcati altri emigrande per New lorchi, fra i quali l’amico mio Leonardo Macheraci. Ripreso il viaggio verso Napoli, abbiamo atraversato il stretto, tralasciando le Isole di Pantelleria l’una dopo l’altra, osservandose ancora in lontananza la Sicilia, e la cima del Vulcano Etna, che col suo enorme pennacchio di fumo bianco che si eleva al cielo sempra di dare l’ultimo addio a coloro che si allontanano della bella Sicilia.


Buenos Aires, Argentina, 1911

Salvatore lascia l’Italia nel 1911, dopo un commovente commiato con il fratello. Attraversato l’oceano, giunge al cospetto della baia di Buenos Aires nel giorno del Sabato Santo, il 15 aprile di quell’anno.

A Napoli, ci aspettava mio fratello Angelo, che aveva venuto apposta da Viterbo per salutarmi. Abbiamo passato insiemi l’indimenticabile giorno del Patriarca S. Giuseppe; mi comprò un soprabito, una bella chitarra, e tutto ciò che mi occorreva per il viaggio; oltre di avermi anticipato il denaro per il passaggio. La spartenza fu commovente, mi accompagnò abordo, e abbandonò il Piroscafo all’ultimo momento; quando il vapore lasciava il porto ci siamo dato l’ultimo addio sventolando i fazzoletti, e quando lo perdi di vista un’orribile abbattimento si appoderò di me, rifressionando sull’affetto di mio fratello, che nella nostra vita ci siamo viste poche volte sempre di occasione. Il viaggio di Napoli a Genova, l’abbiamo fatto in pessima condizione sul piroscafo «Stella Polare». Giunto a Genova, sono andato a trovare al mio caro amico Alessandro Raffin, Sergente del 92° Reggimento di Fanteria, passando il pomeriggio insiemi ricordandoci della nostra vendura a Genova da tre anni prima, e tanti bei ricordi della nostra vita passata nel nostro paesello. Verso sera abbiamo abbandonato il porto di Genova, imbarcati sul vecchio vapore «Minos» dell’antica Compagnia Ligure Brasiliana.

Era l’ultimo viaggio che il Minos faceva a Sud America; vi era molta comodità per la 3° classe, e si mangiava discretamente. Il viaggio fino a Gilbiterra fu splendido, ma passato il stretto abbiamo incontrato il mare aggitato per due giorni consecutive. Per molte giorni non abbiamo visto più terra fino alla costa Brasilegna. Abbiamo toccato il porto di Santos, entrando per un pittoresco canale. Dopo ventequattro giorni di viaggio apparve alla nostra vista la grande città di Buenos Aires. Ma siamo rimasti due giorni alla rada, sbarcando il Sabato Santo, il giorno 15 di Aprile del 1911.

Al porto doveva incontrare ai miei amici Romeo, Marino, e Antonio Cappa; ma per la confusione di avere rimasto i due giorni a bordo si sono desorientate. Allora una famiglia di Siciliani della Provincia di Siracusa, che abbiamo presa relazione abordo; mi condussero con loro; ma io stava preoccopato per incontrare all’amico Romeo, e siccome teneva la sua direzione sono andato a trovarlo, mentre con l’amico Isidoro Marino, si preparavano per andare al porto in cerca di me. Quella sera abbiamo trovati a tutti gli amici, e paesani di costì, tanto che mi semprò di trovarme di nuovo al mio paese._

Dopo due giorni per mezzo dell’amico Domenico Nicolosi, di Carrabba, ho incontrato lavoro in una fabrica di calzolaria, dove lavorai per circa sei mesi; Ma siccome l’amico mio Antonino Foresta, lavorava nei Tramvai, mi consigliò di lavorare anche io di Tramvieri, e sono andato da Fattorino. Lavorava sempre con l’intusiasmo di ritornare presto all’italia. Per un giovane scapolo la lontananza della sua famiglia, e un grande sagrifizio. Occupammo una stanzetta di legname molto cara, e mala costruita , insieme all’amico Isidoro Marino, e Nicolosi. Dovevamo farne da mangiare noi, e tutta la polizia personale.


Buenos Aires, Argentina, 1916

Nel 1914 scoppia la Prima guerra mondiale, l’Europa viene travolta e Salvatore prende la decisione di non rispondere alla chiamata del Regio esercito italiano. A rafforzare la sua scelta di rimanere in Sud America giunge la decisione di sposarsi con una ragazza di origine siciliana, Concetta, con la quale Salvatore concepirà cinque bambini.

Dopo qualche hanno ho abitato da solo, e mangiavo da una casa particolare, così la vita era più comoda, ma con tutto ciò desiderava ardentamente di ritornare presto al mio paese, onde sposarne, e poi se fosse possibole anche di ritornare. In Agosto dell’hanno 1914 penzava di fare un’improvisata alla mia famiglia; Ma mentre faceva il tramite dell’imbarco scoppiò la tremente guerra Europea. Dopo pochi mesi che stava in America, l’Italia dichiarò la guerra alla Turchia, che fenè con l’occopazione della Tripolitania, e della Cirinaica, per parte D’Italia. Finita la guerra di Tripoli, il mondo passò un periodo di tranquillità; da per tutto vi era sufficiente lavoro, e regnava una allegria uneversale. Credo che l’hanno 1912-1913 e parte del 1914 fu la epoca più armoniosa e pacifica del secolo XX. Ma alla fine del mese di Giugno 1914 un crimen politico ha messo il mondo in scompiglio. Nella città di Serajeo in Serbia, fu assassinato il Principe Francesco Ferdinando eredi dell’Impero Austriaco, e sua sposa Sofia. Austria impuso a Servia di dargli sodispazione fra ventequattro hore; Ma siccome a Serbia gli fu impossibole scoprire il complotto, Austria pretenziosamente le dichiarò la guerra a Serbia. Russia che stava allegata con Serbia prese le armi contra Austria, e Alemania che era allegata con l’Austria, si ha messo in sua difesa. Francia, e Inquilterra, difesero a Russia e Serbia; Cosi’ che si formò rapidamente una orribile confregazione Europea. Italia con tutto che era allegata con Austria e Alemania, rimase neutrale; Ma poi il popolo Italiano proclamò la guerra contra gl’Imperi Centrali, per liberare le due Provincie, Trento e Trieste. Cosichè il giorno 24 di Maggio del 1915-anche l’Italia entrava in guerra. Dopo pochi mesi furono chiamati sotto le armi mio fratello Giuseppe, e mio cognato Michele, rimanendo nella mia famiglia solamente le donne. Io risolvetti di rimanere qui, e siccome la guerra continovava, ho deciso si sposarmi; Però era desideroso di incontrare qualche ragazza Siciliana, onde comprenderci in tutto, e conservare il mio desiderio di ritornare in Sicilia. Dopo di aver fatte varie indagini, conobbe casualmente alla famiglia di don Pasquale Parisi, da poco tempo venute del paese di Macchia, che dista a circa tre chilometri del mio paese. Oh chieste informazione alla mia Famiglia, specialmente a mia cognata Aghita, che era di Macchia, e conosceva personalmente a questa famiglia. Avendone avute buone informazioni, ho chiesta la mano di sua figlia maggiore di nome Concetta Parisi, e dopo un’anno il giorno 4 di Novembre del 1916 ci siamo sposati. Nel mio sponzalizio parteciparono varii paesani; Ma mi rincrebbe che non vi era nessuno della mia famiglia; Però ebbe la conzolazione che mentre estavamo tutti attorno alla menza, si presentò un fattorino postale con le felicitazioni della mia famiglia. Dopo circa i 9 mesi naque un bel bambino, che gli ho posto nome Carmelo come mio padre; Dopo un altro che si chiama Sebastiano come mio zio; E poi tre bambine; Leonarda come mia madre, Sara il nome di mia suocera, e Angelina, come mio fratello Angelo.

 


Buenos Aires, Argentina, 1928

Dopo più di quindici anni trascorsi in Argentina, Salvatore Coco inizia a progettare un viaggio di ritorno, in compagnia del suo primogenito, per rivedere i luoghi in cui è cresciuto e fare una sorpresa alla sua famiglia d’origine.

A forza di sagrifizio ho potuto farmi la mia casa propria, nel paesello di Berna Leste, a pochi passi di Buenos Aires in una bella strada (Avenida Dardo Rocha) che traversa il centro della città di Avellaneda, e conduce alla Capitale. I miei figli, Carmelo e Sebastiano, si educano in un Seminario di Don Bosco; E non tralascerò d’insegnarle l’Italiano, e in famiglia si parla in dialetto Siciliano. L’unico mio desiderio è stato sempre quello di fare una passeggiata all’Italia; Rivedere l’incantevole Sicilia, giardino d’Italia, e visitare il mio bel paesello, per abbracciare alla vecchiarella di mia madre, e tutti della mia cara famiglia, che ho sognato continuvamente di incontrarmi fra loro. Ultimamente i miei fratelli mi scrivono che il nostro piccolo paese si ha trasformato in’una moderna cittadina. Vi sono delle belle palazzini moderni, si reformò la piazza del D’uomo, e si eregio un monumento in’omaggio ai caduti in guerra nella piazzetta degl’Angeli. Tutto ciò aumentato sempre il mio entusiasmo di rivederlo. L’hanno 1928- mi aveva proposto di fare un’improvisata alla mia famiglia; Voleva domandare sei mesi di licenza alla compagnia dove lavoro, e andare in’Italia con mio figlio Carmelo. Pensava partire di qui, verso il mese di Luglio, per passare lì il mese di Agosto, Settembre, Ottobre, e parte di Novembre, fino alla bella festa di S. Leonardo. Però per temore di incontrare qualche ostacolo per il mio ritorno in’ America, per certe leggi esistenti in’Italia per gli emigranti, ho desestito del mio proposito, con la speranza di megliore occasione. Mi passano delle hore interi fantasticando su di un mio prossimo viaggio in’Italia, l’improvisata che dovrei fare alla mia famiglia, e l’incontro dei vecchi amici… Vorrei rivedere tutti quei paesi che conosco, e fare delle lunghe passeggiate con mio fratello Angelo, in quei luochi che ho passata la mia dolce infanzia, e la sorridente gioventù.


Buenos Aires, Argentina, 1928

Nell’autunno del 1928, Salvatore Coco dall’Argentina apprende attraverso i giornali e il passaparola degli emigrati siciliani, che il suo paese d’origine, Mascali, è stato cancellato da un’eruzione vulcanica dell’Etna. La lava fuoriuscita dai crateri del vulcano ha raso al suolo e inglobato il centro abitato.

Ma il giorno 3 di Novembre dell’hanno 1928 mi sono alzato di buon mattino per concorrere al mio lavoro cotidiano._Era una bella giornata di Primavera, e stavo di buon umore; Nel trascorso del viaggio della mia casa alla stazione dei Tramvai, ho riletta una lettera di mio fratello Angelo, in cui mi dava tanti belle notizie. Ripreso il lavoro con l’animo tranquillo, e ricordandomi che in quei giorni al mio paese si svolgeva la bella festa del Patrono S. Leonardo; cantava soldamente dei canzonettini che si cantano nei giorni delle novene, che ancora ricordo qualche frase «Evviva Leonardo Infiammato d’amore, L’ardente suo cuore Di fuoco avvampò». All’improviso monta sul Tramvai, un ragazzo venditore di giornali, e osservai scritto a lettere grande; L’Etna in eruzione!  Gli strappai un giornale delle mani, e ho letto che si aveva aperto un gran cratere presso i Fornazzi, e la lava avanzava rapitamente verso S. Alfio. Tale notizia mi impressionò, considerando che era un gran pericolo, per il paese di S. Alfio, S. Giovanni, Macchia, e la città di Giarre, e Riposto. I Giornali vespertini annunziavano che la corrente lavica aveva già distrutto il famoso castagno dei cento cavalli, e raggiunto i primi case di S. Alfio. Ma fortunatamente il giorno dopo ebbi la conzolante notizia, che miracolosamente la lava si aveva fermata, e tutto il pericolo era scomparso; Di nuovo mi tranquillezai, e ho creduto a un miracolo di S. Alfio, Patrono del stesso paese. Però all’indomane una nuova notizia mi fece aghiacciare il sangue nelle vene: Nuove cretari si avevano aperte sulle Ripe, e la lava avanzava rapitamente a una velocità di 500 metri per hora; Invase la località di Pietrafucile, e avanzava in direzione di Mascali, il mio amato paese…. La mia sorpresa fu enorme; Comprese l’imminente pericolo che minacciava al paese, e immagginava il panico che doveva provocare fra gli abitanti. I giornale della sera davano notizie più allarmanti, la lava aveva preso il corso del vallone Pietrafucile, e stava per raggiungere il ponte di ferro sulla ferrovia della Circum Etnea, e un altro braccio avanzava verso Nunziata. Gli abitanti atterriti scappavano in tutti direzioni elevando preghiere a Iddio , e ai Santi. In Mascali si svolgeva la tradizionale fiera della festa di S. Leonardo, e vi si trovavano molti forestieri, che dovettero retirarse precipitosamente. Le notizie che si succedevano erano all’armatissimi, annunziando che era necessario di evacuvare anche le città di Giarre, Riposto, e Fiume freddo. Temevo per la sorte della mia famiglia, specialmente per quella poveretta di mia madre che all’età di circa 90 anni doveva presenziare tale sciagura, e abbandonare la casa paterna, che gli aveva costato tanto sagrifizio. Intanto la corrente lavica, avanzava spietatamente distruggendo grande castagneti, vigneti, e giardini di limoni. Nel pomeriggio del giorno 6 un’apparato radiotelefonico annunziava al pubblico che la lava aveva distrutto il ponte della Circum-Etnea, e aveva invaso il Vallonazzo. La morte di Mascali, era già inevitabile, e solamente un miracolo del Patrono S. Leonardo poteva salvare il paese, il giorno della sua festa. Tutta la notte non ho dormito, ci intervistevamo fra i paesani, tutti afflitti, ma con la speranza che la lava si avrebbe fermata nel vallonazzo, dove il vallone formava una grande spianata. Ma all’indomane un’orribile notizia annunziava che la notte del giorno 6 di Novembre, il proprio giorno della festa del Patrono S. Leonardo, la lava aveva investito il paese, e in poche hore rimase sepolto. Non’ebbe l’animo di leggere la notizia… e piansi come mai avevo pianto!